top of page

Un viaggio fra realtà arte e tecnologia

Subito ci sconvolgono alcuni dati: Shangai che è la più grande città della Cina con più di 28 milioni di abitanti, occupa uno spazio che corrisponde a circa 9 volte la superficie di New York e la sua municipalità si estende per un territorio ampio come il Belgio. I cantieri edili presenti in quella città, prima delle Olimpiadi del 2008, erano pari ai cantieri edili dello stesso anno realizzati in tutta Europa.

Sono numeri che ci colpiscono e ai quali non siamo abituati.


Ma che idea si è fatto Marco dopo queste collaborazioni con i cinesi?

L’organizzazione è la cosa che salta più agli occhi degli occidentali, grandi masse di lavoratori che si alternano ogni sei ore, che riescono a rifare una piazza in una notte, a costruire un grattacielo anche con masse di operai non specializzate e questo grazie, oltre alla capacità organizzativa, a una dedizione assoluta dei lavoratori, ad un ottimismo incredibile nel futuro e nella potenza della nazione.

Un popolo di circa un miliardo e mezzo (quasi il 20% della popolazione mondiale) che è passato con grande rapidità da un comunismo severo ad un consumismo programmato, dalla povertà assoluta ad avere ogni anno nuovi miliardari (nel 2006 erano 13, oggi sono 373) e dell’unico paese che nel periodo del Covid 19 sta chiudendo con un pil a +4,9%.

E’ trascorso molto dalla povertà degli anni 30 dove i contadini cinesi, i più grandi coltivatori del tè del mondo, non avevano neppure la possibilità di berne se non due foglie la domenica (“La buona terra” premio Pulitzer di Pearl S. Buck) o dalla Grande Rivoluzione Culturale di Mao Zedong del 1966 (dove racconta lui stesso che vivevano con un pugno di riso al giorno e di un uovo sodo al mese).

In questo grandissimo senso di servizio per il proprio paese, ci sono poi compresi più di mezzo milione di “paria” cinesi, secondi e terzi figli nati fuori dal controllo delle nascite, a cui lo stato non riconosce né identità né diritti ma gestisce come forza lavoro, oppure carcerati privi di qualsiasi diritto e usati come schiavi moderni per approntare appalti a costi bassissimi in quanto la manodopera non è retribuita. Il numero di queste persone è pazzesco, quasi il doppio degli abitanti degli Stati Uniti, molto più della metà degli abitanti dell’Europa: schiavitù legalizzata!


Il raccontare di Marco rimane dentro, ma va elaborato per non cadere nel banale.

Abbiamo iniziato a parlare della Cina, quasi per caso, perché la sua professione lo porta a girare il mondo. Il mondo artistico, museale e non solo.

Ovviamente si finisce a parlare d’arte, o meglio “su cosa è l’arte”.

Anticipa subito che è una domanda a cui non è facile rispondere “… è una sensazione, uno spostamento di asse per cui lo spettatore viene mosso dall’opera, che non lo restituisce al mondo uguale come prima, ma gli fa cambiare il punto di vista e soprattutto non lo abbandona nei giorni seguenti.”Sino a diventare un concetto, un simbolo…


Il discorso scivola sull’arte che è tale solo se supportata da un valore economico, sul fatto che il concetto di artista è rappresentato da una comunità che decide di riconoscerlo tale e ciò facendo gli attribuisce un valore.

Dopo aver premesso che il villaggio globale sembra aver appiattito tutte le differenze generazionali per cui non ci sono più grossi contrasti di gusti tra i più e i meno giovani e che siamo tutti in una grande marmellata, la domanda che segue e che sta diventando ricorrente, è la seguente:

“Esiste ancora l’avanguardia?”.

Marco ci pensa un attimo poi risponde in modo particolarmente interessante.

Le avanguardie come le conosciamo dall’inizio del 900, con la loro risonanza, i loro salotti culturali, sostenute da città che mostrano una voglia di rinnovamento e che si inseriscono in particolari contesti storici e culturali, appunto quelle avanguardie non ci saranno più almeno in quel modo. Oggi le avanguardie sono nelle tecnologie, potrebbero essere non più solo quelle che strutturano un linguaggio ed un gusto nuovo, ma quei piccoli gesti quotidiani che muovendosi nella rete tentano di mantenere saldo il senso critico e il pensiero originale. Piccole incursioni e scoperte giornaliere che non ci fanno prendere in modo scontato tutto quello che ci arriva come reale ma che mettono in discussione una foto oppure una notizia non prendendola per forza per vera ma andandola a verificare in modo critico e ragionato.

Stiamo andando avanti nella notte quando una spia al nostro interno ci rivela un lavoro interessante che Marco ha realizzato con Studio Azzurro: i portatori di storie.

La cosa nacque molti anni fa durante un workshop (seminario) per realizzare un’installazione interattiva con l’Accademia delle Belle Arti di Casablanca. Nel gruppo locale di supporto, c’era un ragazzo che proveniva dalla zona rurale della catena dell’Atlante, ai piedi del deserto e che si era trasferito nella grande città per studiare. Ma il mese di trasferimento era agosto e tutta l’università era praticamente semi deserta. Così ebbe un’idea, per orizzontarsi in una città così grande, incominciò a fermare le signore per strada o nei mercati chiedendo dove potesse andare per comprare il pane più buono o altre cose del genere. Raccoglieva i fogliettini con le indicazioni o le mappe fatte dalle persone che fermava e che disegnavano sulla carta come raggiungere quei luoghi. Fece ingrandire quei biglietti con stampe molto grandi, cominciò a tappezzare le pareti di un’aula e fece un reportage fotografico del tutto, dopodiché ripulì le pareti dell’aula.

L’idea fu colta al volo, incominciarono a fare interviste alle persone che si rendevano disponibili, una volta spiegato il progetto e a raccontare un po’ la loro storia, quando si era creata un poco di confidenza chiedevano di indicargli la parte secondo loro più interessante della città. Li facevano camminare per una passerella lunga 14 metri e li riprendevano con una telecamera che li seguiva di fianco. Il genere delle persone era vario, dal notaio al barbone, dall’operaio al commerciante, come in uno spaccato sociologico. Presentarono il lavoro ad una galleria d’arte e la mostra ottenne un grande successo. Si poteva accedere a questa grande galleria che aveva proiettato su una parete di 14 mq tutta una serie di persone che camminavano in varie direzioni, tramite sensori di movimento indicando con una mano si apriva un focus di indagine sulla persona indicata e questa raccontava brevemente una parte della città a cui era molto affezionata.

L’operazione si chiamava Sensitive city

Questo modo di conoscere una città attraverso l’esperienza della gente fu ripetuto in molti posti e con differenti temi, da una tribù di indiani di Santa Fe (New Mexico) a città come Matera, Chioggia e Lucca. Dal Cile all’Europa sino alla realizzazione di una operazione artistica dal nome Mediterraneo, dove artigiani di tutti i paesi che si affacciano su quel mare illustravano i lavori storici che stavano scomparendo.


La discussione continua fino a tardi passando per vari temi, dallo sviluppo dell’arte al potenziamento di questa come valore esportabile e come strategia di espansione e di colonizzazione, come l’esperienza della Pop Art o del cinema americano che di fatto hanno colonizzato il resto del mondo creando uno stile di espressione e un indotto pazzesco. Di come l’America riesce a creare lavoro e turismo culturale con niente e noi fatichiamo a dare anche solo visibilità a ciò che facciamo. Per esempio ho scoperto quanto siamo famosi nel mondo per esperimenti e progetti di Fisica e quanto poco siamo capaci di creare ricchezza da questo, mentre noi usiamo le teche e i poster per illustrare gli esperimenti, gli altri paesi costruiscono parchi avventura tematici sulla scienza con il virtuale. Non faccio fatica a credergli perché subito mi affiora il ricordo della visita fatta molti anni fa al museo di Cremona degli Stradivari. C’era una sala, nemmeno tanto grande, con i più famosi violini del mondo e per sentirne il suono bisognava chiamare un addetto che accendeva un radioregistratore portatile di pessima qualità, mentre a casa io avevo appena comprato un impianto Bose (...disarmante il confronto!).

Un esempio recente è l’M9, il museo del 900 a Mestre costato 80 milioni di euro e, definito dal Gazzettino di Venezia come il più grande flop museale italiano perché la gente non si ferma a visitarlo ma preferisce andare a vedere Venezia. Costruito per le scuole ma disertato dalle stesse perché non si è capaci di costruire un circuito virtuoso. E’ il museo più tecnologico d’Europa con 250 poltrone con l’oculus per la realtà virtuale.


E’ notte fonda, salutiamo Marco Barsottini, con un po’ di amaro in bocca per le ultime constatazioni, ma felici per la serata che ci ha regalato e per la sua grande disponibilità.

Buona notte Marco...a presto!


Marco Barsottini, parmigiano di nascita e milanese di adozione, è un professionista che studia il rapporto tra arte e nuove tecnologie, la video comunicazione.

Ha collaborato con Studio Azzurro. Ha fondato poi, con altri soci, studio CamerAnebbia (www.cameranebbia.com) il cui sito raccomandiamo di visitare.

90 visualizzazioni0 commenti
bottom of page