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Perchè Teddy Riner era a San Marino?

Quando si presenta un attore o un regista si dice quali film ha fatto, quando si presenta un atleta si dice cosa ha vinto. Mentre nel primo caso si può diventare famosissimi anche solo per aver diretto o recitato un solo film e si guarda soprattutto l’aspetto artistico espresso, normalmente all’atleta chiediamo il maggior numero di successi indipendentemente dal suo stile e da come ha vinto. Un noto insegnante di judo dice: “La gente può ricordare cosa hai vinto ma non come l’hai vinto” e secondo questo ragionamento potrebbe essere preferibile combattere male e vincere piuttosto che il contrario. Credo che per molte persone sia così, rischiare meno possibile e ottimizzare al meglio, altre invece non si pongono il problema di stile. L’educazione ha necessità di stimoli e di sensibilità, certa gente nasce con una propensione al bello, al gusto, ma per altri è frutto di un percorso, di una formazione. Cercare l’arte e la bellezza nel combattimento come nella vita è quasi un atto rivoluzionario, una scelta originale, perché non si prende un dato di fatto: vinto/perso, ma lo si elabora, lo si interpreta, cercando il come e non il cosa.

I giapponesi sono abituati così; gestiscono bene la paura della sconfitta, si preparano e cercano di vincere facendo ippon in modo netto ed inequivocabile. La loro formazione li spinge a fare uno spettacolo del loro judo senza timori o strategie.

Un esempio è l’ippon ottenuto con sasae-tsurikomi-ashi dx, ko-uchi-gari sx e infine okuri-ashi-barai sx di Keiji Suzuki (vincitore dei +100 kg ad Atene nel 2004 e 4 medaglie ai Mondiali di cui due d’oro) che rimane nella memoria di tutti coloro che hanno assistito a quel combattimento e rimarrà come esempio di collegamento tra le tecniche (renraku waza) al di là del piazzamento che in quella competizione ottenne (Campionati del Giappone del 2016).

La finale open di Yasuhiro Yamashita a Los Angeles nel 1984 con l’egiziano Rashwan; il nipponico cammina zoppicando vistosamente per un trauma al ginocchio dx, raggiunge il centro dell’area con determinazione. L’egiziano sa di essere meno forte del giapponese, prova un attacco senza troppa convinzione e Yamashita non perde l’occasione, lo porta a terra e lo inchioda in kuzure yoko shiho gatame. Anche qui non ricorderemo la vittoria di katame waza ma tutto il simbolico che ne deriva, con quale spirito affrontare un combattimento, come gestire un’avversità, come quella di un infortunio.


Darcel Yandzi, classe 1973, ha vinto molto e per anni è stato un atleta di punta della sua Nazionale (una medaglia d’oro e una di bronzo al Mondiale, sette campionati europei, tre come singolo, un oro e un argento a squadre, e due come club, numerosissimi tornei internazionali e naturalmente molte medaglie ai campionati nazionali francesi). Ma quello che colpiva di più chi l’ha visto combattere è stato la spettacolo che offriva; quando combatteva infiammava il pubblico per la bellezza delle sue tecniche e per il suo carisma. Tutti si ricordano il ko-sotog-ake che ha fatto a Djamel Bouras (campione olimpico) quando nel 1996 ha vinto il Torneo di Parigi.


Teddy Riner (classe 1989) al suo ultimo anno di agonismo è l’atleta che ha vinto di più nella storia del judo e molto probabilmente è destinato a mantenere per un po’ il suo record (cito solo tre ori e due bronzi alle Olimpiadi, undici ori ai mondiali e un argento); significa essere il più forte al mondo, o quasi, da circa vent’anni. Il prossimo anno avrà ancora la possibilità di fare un’ultima Olimpiade e se facesse medaglia sarebbe il più premiato alle olimpiadi come numero di volte (segue Ryoko Tamura leggenda nei 48 kg femminili con due ori, due argenti e un bronzo alle Olimpiadi).


Quindi, perché Teddy Riner va a San Marino ad allenarsi in agosto del 2023?

Torniamo un passo indietro e procediamo per ordine. Nel 2021 Darcel Yanzi, dopo molte esperienze come allenatore della Nazionale francese e dopo aver allenato la Nazionale inglese, decide di allenare privatamente i campioni che hanno bisogno di fare con lui periodi di full immersion di tipo tecnico, tattico e fisico. Già da anni aveva fatto il coach privato tra un incarico e l’altro con le nazionali e decide di condividere questo suo progetto con un altro tecnico suo amico, l’italiano Raffaele Lisi, ex-nazionale ed ex-atleta della squadra di judo della Polizia. I due sono amici da anni e condividono la stessa visione del judo.

Si pianifica di realizzare questo progetto presso il Centro Olimpico di San Marino, struttura magnifica, perfettamente funzionale e strategicamente ben raggiungibile con i mezzi. Il Presidente Giuseppe Ragini, è favorevole e così tutto il direttivo. Quindi si parte! Il progetto non si avvale solamente dei due tecnici ideatori, ma viene formato un gruppo di docenti di altissimo profilo e con un curriculum chilometrico: Jane Bridge, prima campionessa del mondo dei 48 kg, vincitrice di molti tornei internazionali e tre Europei, Guy Delvingt, ex nazionale francese, tecnico della Nazionale e grande campione e Hiroshi Katanishi uno dei tecnici più famosi al mondo, ex tecnico della Nazionale francese e svizzera ma soprattutto rappresentante di una Tenri University negli anni d’oro quando da quella scuola uscivano “mostri sacri” tra i più forti del Giappone.

Questo gruppo si apre al mondo del judo mondiale (vengono in mente le squadre perfette, gli All Blacks di Lomu, Umaga e Woodcock, lo strabiliante quintetto Charlie Parker, Max Roach, Dizzy Gillespie e Bud Powell o la nazionale azzurra di Paolo Rossi, Zoff, Tardelli, Scirea e Cabrini).


Chiediamo a Raffaele di farci da interprete. Lui e Darcel condividono la stessa visione e si nota, durante tutta la chiacchierata, quanto gli interventi dell’uno siano condivisi dall’altro e viceversa. Il loro programma si regge su due cardini: un intenso lavoro sui principi di base (postura, squilibrio, spostamenti e preparazione dell’attacco) e la creazione di un ambiente giusto, accogliente e familiare. “Quando i ragazzi arrivano” spiega Darcel “il lavoro che proponiamo è duro e impegnativo e per sopportare tutto questo carico di lavoro devono sentirsi a loro agio e devono avere il piacere di stare con noi. É fondamentale il rispetto della persona e dell’essere umano, questa regola è imprescindibile. Quando sei il numero uno sei ammirato e amato, ma quando non lo sei più sei messo da una parte e ti fanno sentire come se non valessi più neanche come persona. A me è accaduto e ho visto persone allontanarsi dopo un calo di prestazione o peggio essere allontanati; ho voluto fare tesoro di questa esperienza; l’atleta oggetto non esiste nella nostra visione.

Il nostro modo di intendere il judo passa da un continuo lavoro sulle basi perché quel tipo di lavoro ti mette nelle condizioni di esprimerti al meglio. Il judo è arte, devo imparare ad ottimizzare la tecnica in modo da avere mobilità, efficacia e bellezza”.

Chiediamo a Darcel quali sogni abbia e sorridendo ci dice che quando era giovane aveva il sogno di vincere i Mondiali e le Olimpiadi, e in parte si è realizzato. Più avanti sognava di diventare allenatore della Nazionale e anche questo si è avverato; oggi il desiderio più intenso è quello di condividere la sua visione del judo e rinforzare il Centro e anche questo si sta realizzando.

Parliamo della sua esperienza internazionale, visto che è tra i tecnici più richiesti al mondo e gli chiediamo le sue impressioni sul judo d’oltralpe. “Andando in giro per il mondo vedo molti modi di intendere il judo, a volte sono simili ai nostri, a volte sono un pochino differenti. Ascolto il punto di vista dell’altro e cerco di portare il mio bagaglio di conoscenze adattandolo alla situazione che trovo senza per questo allontanarmi dai principi cardine del judo”.

Tra le esperienze più positive cita il lavoro fatto da Kōsei Inoue con la Nazionale giapponese (si conoscono bene i due perché hanno lavorato assieme al Budokwai di Londra) che oltre tutta la mole di lavoro tecnico e tattico era mirato a costruire un gruppo coeso e a lavorare sulla parte umana ed emotiva degli atleti.

Un altro aspetto creativo del metodo di questo gruppo di lavoro è il lavoro sulla tradizione, ma tesa sempre ad un suo rinnovamento. L’introduzione di esercizi specifici, di uso del ritmo, di palle ed elastici consente un lavoro diversificato diretto ad ampliare la consapevolezza corporea. Corpo e mente lavorano assieme, ma con tempi e velocità differenti. Bisogna concentrarsi sul lavoro corporeo e sulle basi del movimento, fare passare il soggetto da criticità che possa risolvere attraverso la tecnica e la coordinazione motoria. Arrivato il corpo alla soluzione ecco che anche la mente capirà. Tutto quanto passerà attraverso il gioco o l'allenamento gioioso. Quando Teddy Riner è arrivato a San Marino, perché già in passato Darcel lo aveva allenato, doveva fare solo tre sedute di allenamento. Teddy, accompagnato dal suo allenatore, Darcel e Raffaele hanno fatto una piccola riunione su come impostare il lavoro e il risultato è stato che Riner ha fatto judo tutti i giorni, condividendo con il proprio allenatore gli esercizi e le modalità di allenamento.

Tutto il gruppo ribadisce che l'obiettivo della Scuola di Alta Specializzazione è quello di condividere con insegnanti e atleti delle teorie di allenamento per la crescita degli atleti e degli allenatori, condividere la conoscenza e ottimizzare l’allenamento in tempo reale è il segreto di questo lavoro.

Il Centro non è un club che vuole tesserare gli atleti, non è assolutamente nelle sue finalità; il Centro si apre ad un pubblico che vuole provare nuove metodologie e integrare i propri sistemi di allenamento. Auguriamo un ottimo lavoro a tutto il gruppo, e se Teddy Riner, il più grande campione del momento, è andato ad allenarsi alla Scuola di Alta Specializzazione di San Marino, evidentemente essa è un’opportunità da non lasciarci scappare.




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