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Aggiornamento: 7 lug 2023

(…) Le radici della fisica, come di tutta la scienza occidentale, vanno ricercate nel primo periodo della filosofia greca, nel sesto secolo a.C., in una cultura nella quale scienza, filosofia e religione non erano separate.

I saggi della scuola di Mileto nella Ionia non erano interessati a tali distinzioni. La loro aspirazione era scoprire la natura essenziale, ovvero la costituzione reale, delle cose che essi chiamavano φύσις. Il termine « fisica » deriva da questa parola greca e perciò significava, originariamente, lo sforzo di scoprire la natura essenziale di tutte le cose. Naturalmente, questo è anche lo scopo principale di tutti i mistici, e in effetti la filosofia della scuola di Mileto era fortemente permeata di misticismo. La cultura greca successiva definì i filosofi della scuola di Mileto « ilozoisti », cioè « coloro che pensano che la materia sia animata », poiché non facevano alcuna distinzione tra animato e inanimato, tra spirito e materia. In effetti, essi non avevano neppure un termine per indicare la materia, in quanto consideravano tutte le forme di esistenza come manifestazioni della φύσις, dotata di vita e di spiritualità. Così Talete sosteneva che tutte le cose sono piene di dèi e Anassimandro concepiva l'universo come una specie di organismo alimentato da uno « pneuma », il respiro cosmico, allo stesso modo in cui il corpo umano è alimentato dall'aria. La concezione monistica e organicistica della scuola di Mileto era molto vicina a quella delle antiche filosofie indiana e cinese e le corrispondenze con il pensiero orientale sono ancora più forti nella filosofia di Eraclito di Efeso. Eraclito credeva che il mondo fosse in perenne mutamento, in eterno « Divenire ». Per lui, la staticità dell'essere era pura illusione. Egli considerava il fuoco il principio universale, simbolo del continuo scorrere e trasformarsi di tutte le cose; riteneva che tutte le trasformazioni nel mondo nascessero dall'azione reciproca dinamica e ciclica dei contrari e pensava ogni coppia di contrari come un'unità. A questa unità, che contiene e trascende tutte le forze opposte, dava il nome di Logos.

La rottura di questa unità cominciò con la scuola eleatica, secondo la quale esisteva un Principio Divino al di sopra di tutti gli dèi e di tutti gli uomini. Questo principio fu inizialmente identificato con l'unità dell'universo; in seguito tuttavia fu visto come un Dio intelligente e personificato che sta al di sopra del mondo e lo governa. Ebbe così inizio una tendenza di pensiero che alla fine condusse alla separazione tra spirito e materia e a un dualismo che divenne caratteristico della filosofia occidentale. Un passo decisivo in questa direzione fu compiuto da Parmenide di Elea il cui pensiero era in forte contrasto con quello di Eraclito. Parmenide chiamava il suo principio fondamentale l' Essere e lo considerava uno e immutabile. Riteneva impossibile il mutamento e giudicava pure illusioni dei sensi i cambiamenti che a noi sembra di percepire nel mondo. L'idea di una sostanza indistruttibile come causa delle proprietà cangianti nacque da questa filosofia e divenne uno dei concetti fondamentali del pensiero occidentale.

Nel quinto secolo a.C. i filosofi greci tentarono di superare l'acuto contrasto tra le concezioni di Parmenide e quelle di Eraclito. Allo scopo di conciliare l'idea dell'Essere immutabile (di Parmenide) con quella dell'eterno Divenire (di Eraclito), essi sostennero che l'Essere è manifesto in certe sostanze invariabili le quali, mescolandosi e separandosi, danno luogo ai mutamenti che si verificano nel mondo. Questo portò al concetto di atomo, la più piccola unità indivisibile di materia, che trovò la sua espressione più chiara nella filosofia di Leucippo e di Democrito. Gli atomisti greci tracciarono una netta linea di separazione tra spirito e materia, immaginando la materia composta da diversi « mattoni fondamentali ». Questi erano particelle completamente passive e intrinsecamente inerti che si muovevano nel vuoto. La causa del loro moto non veniva spiegata, ma era spesso associata a forze esterne ritenute di origine spirituale e fondamentalmente diverse dalla materia.

Nei secoli successivi, questa immagine divenne un elemento essenziale del pensiero occidentale, del dualismo tra mente e materia, tra corpo e anima. Non appena si affermò l'idea di una separazione tra spirito e materia, i filosofi rivolsero l'attenzione al mondo spirituale, più che a quello materiale, all'anima umana e ai problemi etici. Questi problemi dovevano occupare il pensiero occidentale per più di duemila anni dopo l' apice raggiunto dalla scienza e dalla cultura greca nel quinto e nel quarto secolo a.C.

Le conoscenze scientifiche dell'antichità vennero sistematizzate e organizzate da Aristotele, il quale creò lo schema che doveva diventare la base della concezione occidentale dell'universo per duemila anni. Ma Aristotele stesso era convinto che i problemi riguardanti l'anima umana e la contemplazione della perfezione di Dio fossero molto più importanti dell'indagine del mondo materiale. Il motivo per cui il modello aristotelico dell'universo non venne messo in discussione per tanto tempo fu proprio questa mancanza di interesse per il mondo materiale e la forte presa della Chiesa cristiana, che sostenne le dottrine aristoteliche per tutto il Medioevo.

Un ulteriore sviluppo della scienza occidentale doveva verificarsi solo nel Rinascimento, quando gli uomini cominciarono a liberarsi dall'influenza di Aristotele e della Chiesa e mostrarono un nuovo interesse per la natura. Verso la fine del Quattrocento lo studio della natura fu affrontato per la prima volta con spirito realmente scientifico e vennero effettuati esperimenti per controllare le ipotesi teoriche. Poiché parallelamente si verificò un crescente interesse per la matematica, questo sviluppo condusse infine alla formulazione di teorie propriamente scientifiche, basate sull'esperimento ed espresse nel linguaggio della matematica. Galilei fu il primo a combinare conoscenza empirica e matematica e perciò viene considerato il padre della scienza moderna.

La nascita della scienza moderna fu preceduta e accompagnata da uno sviluppo del pensiero filosofico che portò a una formulazione estrema del dualismo spirito-materia. Questa formulazione comparve nel Seicento con la filosofia di René Descartes, il quale fondò la propria concezione della natura su una fondamentale separazione tra due realtà distinte e indipendenti, quella della mente (res cogitans) e quella della materia (res extensa). La separazione <<cartesiana>> permise agli scienziati di considerare la materia come inerte e completamente distinta da se stessi e di raffigurarsi il mondo materiale come una moltitudine di oggetti differenti riuniti insieme in una immensa macchina. Una siffatta concezione meccanicistica del mondo fu sostenuta da Isaac Newton, che su questa base costruì la sua scienza della meccanica e la pose a fondamento della fisica classica. Dalla seconda metà del Seicento alla fine dell'Ottocento, il modello meccanicistico newtoniano dell'universo dominò tutto il pensiero scientifico. Era accompagnato dall'immagine di un Dio monarca che dall'alto governava il mondo imponendo a esso la sua legge divina. Di conseguenza, le leggi fondamentali della natura ricercate dagli scienziati vennero considerate le leggi divine, invariabili ed eterne, alle quali il mondo era soggetto.

La filosofia di Cartesio non fu solo importante per lo sviluppo della fisica classica, ma ebbe anche un'enorme influenza su tutto il modo di pensare occidentale fino ai giorni nostri. La famosa frase di Cartesio Cogito ergo sum ha portato l'uomo occidentale a identificarsi con la propria mente invece che con l'intero organismo. Come conseguenza della separazione cartesiana, l'uomo moderno è consapevole di se stesso, nella maggior parte dei casi, come un io isolato che vive <<all'interno>> del proprio corpo. La mente è stata divisa dal corpo e ha ricevuto il compito superfluo di controllarlo; ciò ha provocato la comparsa di un conflitto tra volontà cosciente e istinti involontari. Ogni individuo è stato ulteriormente suddiviso in base alle sue attività, capacità, sentimenti, opinioni, ecc., in un gran numero di compartimenti separati, impegnati in conflitti inestinguibili, che generano una continua confusione metafisica e altrettanta frustrazione.

Questa frammentazione interna dell'uomo rispecchia la sua concezione del mondo <<esterno>>, che è visto come un insieme di oggetti e di eventi separati. Si considera l'ambiente naturale come se fosse costituito da parti separate che devono essere sfruttate da vari gruppi di interesse. Questa visione non unitaria è ulteriormente estesa alla società, che viene suddivisa in differenti nazioni, razze, gruppi religiosi e politici. La convinzione che tutti questi frammenti -in noi stessi, nel nostro ambiente e nella nostra società- siano realmente separati può essere vista come la causa fondamentale di tutte le crisi attuali, sociali, ecologiche e culturali. Essa ci ha estraniati dalla natura e dagli esseri umani nostri simili. Essa ha provocato una distribuzione delle risorse naturali incredibilmente ingiusta, che crea disordine economico e politico: un'ondata di violenza, sia spontanea sia istituzionalizzata, che cresce sempre più e un ambiente inospite, inquinato, nel quale la vita è diventata fisicamente e spiritualmente insalubre.

La separazione operata da Cartesio e la concezione meccanicistica del mondo hanno quindi portato nello stesso tempo benefici e danni; si sono rivelate estremamente utili per lo sviluppo della fisica classica e della tecnologia, ma hanno avuto molte conseguenze nocive per la nostra civiltà. È affascinante osservare come la scienza del ventesimo secolo, nata dalla separazione introdotta da Cartesio e dalla concezione meccanicistica del mondo, e che anzi poté svilupparsi solo sulla base di una concezione del genere, superi oggi questa frammentazione e ritorni nuovamente all'idea di unità espressa nelle prime filosofie greche e orientali.

Al contrario della concezione meccanicistica occidentale, la concezione orientale è di tipo <<organicistico>>. Per il mistico orientale, tutte le cose e tutti gli eventi percepiti dai sensi sono interconnessi, collegati tra loro, e sono soltanto differenti aspetti o manifestazioni della stessa realtà ultima. La nostra tendenza a dividere il mondo percepito in cose singole e distinte e a sentire noi stessi come unità separate in questo mondo è considerata un'illusione che deriva dalla propensione della nostra mente a misurare e a classificare. Essa è chiamata avidya, o ignoranza, nella filosofia buddhista ed è considerata uno stato di turbamento mentale che deve essere superato.

Le varie scuole del misticismo orientale, sebbene differivano fra loro in molti punti particolari, sottolineano tutte l'unità fondamentale dell'universo che è la caratteristica principale del loro insegnamento. L'aspirazione più elevata dei loro seguaci -siano essi Indù, Buddhisti o Taoisti - è quella di diventare pienamente consapevoli dell'unità e della interconnessione reciproca di tutte le cose, di trascendere la nozione di sé come individuo singolo e di identificarsi con la realtà ultima.

Il raggiungimento di questa consapevolezza - chiamata <<illuminazione>> - non è solo un atto intellettuale ma un'esperienza che coinvolge l'intera persona e che fondamentalmente è di natura religiosa. Per questo motivo, la maggior parte delle filosofie orientali sono essenzialmente filosofie religiose.

Nella concezione orientale, quindi, la divisione della natura in oggetti separati non è fondamentale e ciascuno di tali oggetti ha un carattere fluido e continuamente mutevole. La concezione orientale del mondo è perciò intrinsecamente dinamica, e il tempo e il mutamento ne sono elementi essenziali. Il cosmo è visto come una unica realtà indivisibile, in eterno movimento, animata, organica: materiale e spirituale nello stesso tempo.

Poiché il movimento e il mutamento sono proprietà essenziali delle cose, le forze che causano il movimento non sono esterne agli oggetti, come nella concezione della Grecia classica, ma sono una proprietà intrinseca della materia. Corrispondentemente, l'immagine orientale della divinità non è quella di un sovrano che dirige il mondo dall'alto, ma quella di un principio che controlla ogni cosa dall'interno:

Colui che, risiedendo in tutti gli esseri, da tutti

gli esseri è diverso, lui che tutti gli esseri non conoscono,

per il quale tutti gli esseri sono corpo,

lui che governa dall'interno tutti gli esseri,

questi è il tuo atman, l'intimo reggitore, l'immortale.

(Brhad-aranyaka-upanisad)

Dai prossimi capitoli risulterà chiaro che i principi fondamentali della concezione orientale del mondo sono gli stessi che ritroviamo nella visione del mondo che sta emergendo dalla fisica moderna. Lo scopo che mi propongo con queste pagine è di far capire come il pensiero orientale e, più generalmente, il pensiero mistico forniscano alle teorie della scienza contemporanea un importante e inerente riferimento filosofico: una concezione del mondo nella quale le scoperte scientifiche dell'uomo possono trovarsi in perfetta armonia con le sue aspirazioni spirituali e la sua fede religiosa. I due temi fondamentali di questa concezione sono l'unità e l'interdipendenza di tutti i fenomeni e la natura intrinsecamente dinamica dell'universo. Quanto più profondamente penetriamo nel mondo submicroscopico, tanto più ci rendiamo conto che il fisico moderno, parimenti al mistico orientale, è giunto a considerare il mondo come un insieme di componenti inseparabili, interagenti e in moto continuo, e che l'uomo è parte integrante di questo sistema.

La concezione del mondo organicistica, <<ecologica>>, delle filosofie orientali è senza dubbio una delle principali ragioni dell'immensa popolarità che esse hanno recentemente ottenuto in Occidente, specialmente tra i giovani. Nella nostra cultura occidentale, che è ancora dominata da una visione meccanicistica e frammentata del mondo, un numero crescente di persone ha visto in essa la ragione che sta alla base della diffusa insoddisfazione presente nella nostra società e molti si sono rivolti alle vie orientali di liberazione.

(…)

Dal 1° capitolo de Il Tao della fisica di Fritjof Capra - Ed. Adelphi

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