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Flow

Aggiornamento: 23 giu 2020

Articolo estratto dal blog di Cristina Piccin, judoka e preparatrice mentale, https://www.factorpmentalpreparation.com/


Lo "stato di grazia", grazie all'allenamento

“Pensare? Come si può pensare e colpire la palla nello stesso istante?!”

Yogi Berra - giocatore di baseball

Vi siete mai chiesti cosa succede nel nostro cervello e nel nostro corpo quando una tecnica, un movimento, un'azione ci sembra così facile da eseguire in un combattimento, in una partita, in un'esibizione o ad esempio quando quella corsa o quella gara ci era sembrata scivolarci tra le dita, portandoci senza alcuna fatica alla vittoria e ad una delle nostre migliori prestazioni? Per noi sportivi più esperti questa non è cosa rara e spesso rimane sempre impressa nei nostri ricordi di gara, affermerei quasi, che ricerchiamo addirittura questa sensazione, questo “stato di grazia”. Né ho avuti diversi nel mio percorso di judoka, e spero e - aggiungerei - lavoro per poter essere aperta a questo “stato psicologico ottimale” il giorno della gara nel futuro. Me ne ricordo uno ancora con preciso, grazie ad un video che mi fu stato fatto dell'ippon (ippon = parola che indica il punto massimo nel judo che attribuisce al judoka la vittoria nel combattimento) – sottolineo qui l'importanza della presenza del video come strumento di oggettività e di ricerca per gli allenatori e gli atleti nella preparazione mentale/tattico-tecnica post-competizione. Mi trovavo in un Continental Open a Bucarest, in un combattimento con un'avversaria (a mia insaputa, forse per fortuna) medagliata in Grand Slam. Quel giorno avevo molta energia e nessun pensiero di risultato nella testa, volevo “solo far judo”, “solo combattere, divertirmi ed esprimermi” essendo una delle mie prime competizioni in quella categoria di peso a quel livello internazionale. Se non avessi visto il video in seguito, ricorderei solamente il tatami e la scena illuminata dai riflettori tipici delle gare IJF (Federazione Internazionale di Judo), la mia avversaria e la sua strategia che avevo capito sin dalla prima azione e un unico pensiero in testa: attendere con pazienza che si esponesse di nuovo in quella strategia per lanciare la tecnica adatta, che era un mio cavallo vincente. Tuttavia questo è il frutto dell'analisi fatta in seguito con il mio preparatore mentale dell'epoca, poiché come tutti gli atleti degli sport di combattimento sanno, il tempo vola velocissimo sulla materassina: non né abbiamo per riflettere ed essere coscienti dei nostri pensieri, come ci dice appunto Yogi Berra. Quest'unico pensiero tecnico piombò nella mia mente solo un millesimo di secondo, come fosse un suggerimento intuitivo dal fondo del mio cervello. Poi, di colpo qualche secondo dopo mi ritrovai sopra l'avversaria udendo l'arbitro che mi assegnava la vittoria. Sapevo di aver fatto quella tecnica, ma non ero capace di ricordarmene consciamente e dettagliatamente. Ero pienamente vigile e concentrata, ma non del tutto cosciente. Come direbbero i giovani che seguo oggi: “è partita da sola, come se non fossi stato io a farla, ma solo a volerla ed ero certo che fosse la risposta giusta”. Certamente non sono e non sarò l'unica atleta a testimoniare tali eventi che rendono lo sport un'educazione e un'attività di crescita personale d'eccellenza: tutti voi avrete in mente un episodio simile. Torniamo però alla teoria. Tale fenomeno non è esclusivo agli atleti, ma anche agli artisti durante un concerto, uno spettacolo, un'esibizione, ed anche ai manager e dirigenti durante le conferenze, le negoziazioni aziendali di fronte a possibili clienti influenti. Il “flow”, il nome scientifico che descrive questo stato mentale emerso nel 1970, è caratteristico dell'Uomo in generale. Esso si può manifestare anche nei momenti di pienezza e di felicità di fronte ad un paesaggio che ci commuove ad esempio. Nella psicologia dello sport un grande numero di studi si sono consacrati agli stati motivazionali. Inizialmente essi si interessavano solamente alle emozioni negative, in seguito scienziati come Csikszentmihalyi, Jackson, Lubinski, Benbow, Buss, ed altri, negli anni '90 e 2000 hanno dato vita ad una corrente di ricerca diversa: la psicologia detta positiva, focalizzandosi soprattutto sui meccanismi messi in atto da chi raggiunge l'eccellenza e la gioia in diversi ambiti. Essa si definisce come “la scienza dell'uomo” che tenta di comprendere come insegnare alle giovani generazioni le variabili (ottimismo e perseveranza), secondo Csikszentmihalyi e Seligman (2000). Nel 1975 Csikszentmihalyi ha definito il FLOW come “uno stato di attivazione ottimale nel quale il soggetto è completamente immerso nell'attività”. Questa esperienza è qualificata come “autotelica”, ovvero “che ritrova la sua fine in sé stessa”. In effetti, qui vorrei sottolineare quanto sia primordiale che la motivazione provenga da qualcosa di più profondo che il raggiungimento di un semplice risultato, di un premio o di una riconoscenza. Non è quindi una semplice supposizione l'affermare che per raggiungere i livelli più alti in un certo campo, sia necessario avere motivazioni radicate e in armonia con noi stessi e nostri valori. Pertanto il ruolo dell'allenatore, il suo modo di lavorare con i giovani e la presa di consapevolezza dell'atleta sono primordiali (ma questo sarà oggetto di un altro articolo). Questo scienziato dal nome complicatissimo, che noi tutti specialisti del settore non abbiamo ancora imparato a pronunciare per quanto sia riconosciuto, ha identificato diversi elementi indicatori dell'apparizione e dell'intensità del flow:


  • l'assenza di stress, ansia e noia

  • una percezione di emozioni positive in quel dato momento

  • dei feedback chiari (dalla situazione o dall'allenatore)

  • la focalizzazione della propria attenzione sull'azione e non su altro

  • una percezione di un equilibrio tra le proprie competenze e la sfida da affrontare, per essere motivati

Come potete notare da questi punti, la sicurezza in sé stessi dello sportivo, della squadra e anche dell'allenatore sono un ingrediente che racchiude in sé tutti questi punti, pertanto è interessante allenarli ogni giorno in modo complementare alle sedute di preparazione fisica, tattica e tecnica e nel situazionale. Per poter condurre gli atleti ad essere disposti ad un tale stato psicologico, un lavoro precedente di costruzione sulle abilità mentali forti è consigliato. Pertanto il concetto di flow ha una rilevanza centrale nella pratica sportiva, in quanto è possibile poter portare gli atleti a riuscire ad allenare questa predisposizione ad uno stato ottimale di prestazione. Tale stato equivale, infatti, ad un elevato livello di focalizzazione dell'attenzione e di sicurezza nelle proprie capacità, da parte degli atleti più esperti, che riescono a selezionare inconsciamente le informazioni più rilevanti per raggiungere la prestazione. Avendo ricevuto feedback costruttivi, concreti e chiari durante gli allenamenti, una sicurezza sulle azioni da effettuare in situazioni di sfida (come quella della gara) è possibile. Un antipatico paradosso Siccome esso è uno “stato di coscienza modificato”, più l'atleta lo ricerca, riflettendoci, pensandoci, ostinandosi nella produzione di tale flow, meno è raggiungibile. Come gli studi dimostrano esso si produce nel momento in cui siamo completamente immersi nell'azione, nell'attività, pertanto non nella riflessione che è tipica della parte cognitiva del nostro cervello che racchiude il ragionamento. Esso è composto da ingredienti più complessi che si nascondono nell'azione, nelle emozioni e nell'allenamento sul lungo termine. Portando l'esempio del mio sport – il judo - quante volte abbiamo voluto riprodurre quella tecnica in combattimento, quella stessa azione che ci aveva portato alla vittoria in maniera automatica, ma invano. E, al contrario, proprio quando la nostra mente è rilassata e concentrata nel insieme del combattimento le migliori mosse vengono compiute! Non è questo forse l'obiettivo dell'allenamento? Un susseguirsi di feedback, di errori e di correzioni che ci portano all'automaticità intelligente? Un giorno il mio allenatore mi disse (e tutt'ora a volte me lo ricorda!): “Me ne frego se cadi. Non serve a niente essere sicuri in allenamento. Ti alleni per la gara. Ti alleni per essere sicura in gara.” Aveva e ha capito tutto.

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