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La scuola di Pordenone: "il mucchio selvaggio"

Chi è Marino Marcolina?

Classe 1945, nativo di Domanins (PN), un uomo tagliato con la scure, aspro come le montagne di cui si è sempre circondato; nella vita si è distinto per il carattere e la personalità. Leggendario nella lotta a terra, amato e mitizzato da alcuni, ma sicuramente temuto dai più.

Si narra che per un periodo girasse per le palestre friulane e che molti judoisti prima di entrare in palestra controllassero se per caso ci fosse anche lui, nel qual caso, qualcuno decideva di tornare il giorno dopo. Di lui si è detto molto, a volte sfiorando la leggenda, dalla sua adesione alla Legione straniera, alla sua abilità come combattente con le armi o senza. Guardia del corpo dell’Editore Rusconi, faceva parte, negli anni di massimo splendore, del Bu Sen Milano, sotto la guida di uno dei più famosi insegnanti di judo: Cesare Barioli.

Fu in quel periodo che divenne molto amico di Marcello Bernardi, cintura nera del Bu Sen, famoso pediatra e autore di apprezzati libri e manuali. In quegli anni circolava la bizzarra battuta di Marcolina, che spesso accompagnava il dottore nei salotti della Milano bene: “ Marino, ma a lei piacciono i bambini?” risposta di Marino che tratteneva a stento la risata a denti stretti: “Siii…..cotti però!!!!”.

Non bastano per definirlo i quattro Campionati Italiani vinti consecutivamente o la finale nel 1975 fatta con l’altoatesino Herbert Pramstaller con cui, andati a terra dal primo minuto, ha lottato per altri quattro con attacchi, parate e contrattacchi fino a che riuscì a chiudere l’incontro con uno shime waza. Quale arbitro avrebbe avuto l’ardire di dare l’interruzione? Sì, perché la sua non era una fama conquistata a tavolino, fuori dal campo di battaglia, bastava incontrarlo per averne soggezione!

Al Bu Sen Milano ricordano ancora le ore di allenamento di Marino e Alfredo Vismara la domenica pomeriggio o in qualsiasi momento libero avessero. I mille uchikomi e i 250 piegamenti sulle braccia a fine lezione o i randori che non terminavano neppure qualora la coppia fosse uscita dal tatami; con qualcuno non terminavano nemmeno con la resa, ma con lo svenimento magari anche finendo in altri locali del dojo. Negli anni in cui tornò a Pordenone cercò di mettere su un gruppo di allievi di cui i principali sono riuniti questa sera qui per l’incontro con Shibumi.

La redazione ha sentito doveroso dedicare un po’ di attenzione a questa scuola che ha disegnato un pezzo della storia friulana come di quella italiana. L’esuberanza fisica del maestro Marcolina era proverbiale e il suo tempo libero si divideva tra il judo e le uscite in montagna. Fu in questi due ambienti che forgiò i suoi allievi: John Parutta, Walter Argentin, Giancarlo Pizzinato, Enzo De Denaro. Qualcuno li soprannominò “ il mucchio selvaggio”, e in quegli anni diedero esempio di come si impostava la lotta a terra, dal punto di vista della qualità e della didattica. L’emozione di essere tutti riuniti è palpabile, la vita mette assieme e poi magari separa per varie ragioni; Pizzinato si connette dal Messico, dove attualmente vive, Enzo da Udine. Alla serata partecipano anche il maestro Comino di Udine, altro grande protagonista del judo friulano e Alberto Grandi di Mestre che si allenava con loro.

Una chiacchierata di quasi tre ore non facile da riassumere per cui, ci perdoneranno gli amici e allievi, ci limiteremo, tranne poche eccezioni, a riportare le frasi del maestro Marcolina, che è una persona profondamente schietta e cristallina, un’icona, coerente nel suo ruolo di “primus inter pares” di colui che instancabilmente esorta, spinge, batte, sollecita, soprattutto con azioni (sberle), ma anche con moniti che vengono fuori da una profonda esperienza e ricerca. Se ciò non bastasse, ciò che impressiona è la sua fisicità, la sua risata sempre soffocata, la sua ampia dentatura e il suo parlare con la bocca quasi serrata con voce rauca e profonda, quasi come un avvertimento minaccioso.

Parla del suo maestro (C.B.) e dice di lui che era un vero maestro, un catalizzatore di forti personalità, uno studioso del judo e un grande tecnico. Il Bu Sen Milano si era riempito di persone di grande cultura e la pratica era sincera; ogni componente condivideva con gli altri ciò che imparava, così che 1+1+1 non faceva mai 3 ma molto di più. Il maestro si metteva al servizio degli altri e facendo ciò dava un esempio, un metodo.

Quando Marino ritornò in Friuli dopo il ‘74, cominciò la ricerca di allievi, creando anche un po’ di imbarazzo per chi era passato da due o tre allenamenti alla settimana ad allenarsi tutti i giorni e più volte al giorno.

Ricordo le volte che salivo in Friuli con il mio primo insegnante, un ottimo judoista, Enzo Meneghini a cui devo moltissimo. Egli era conscio che per migliorare ulteriormente dovesse frequentare gente forte e si era legato molto a Marino e ai suoi allievi tanto da essere nella squadra che dall’82 sfiderà i professionisti del judo, Carabinieri e Finanza che fino allora avevano occupato sempre i primi posti delle classifiche nazionali. La squadra della Libertas Udine fece storia, era guidata dal Maestro Comino che tuttora è uno dei grandi riferimenti del judo friulano.

“Come si fa Marino a diventare così forti?” Marino richiama sempre alla sostanza delle cose “per allenarti devi creare una tensione emotiva, se non c’è emotività non esce la tecnica” e poi “la forza dello spirito non va mai dimenticata” e ancora “ la stanchezza è una sensazione, dovete imparare a dominarla”. Il suo intercalare più frequente è invece: “basta cazzate, randori!”

Continua Marino: “il judo dal punto di vista professionale è limitativo, perché lo fai per te stesso; è più interessante farlo per migliorarsi e offrire questo anche agli altri” e ancora “vivi meglio tu e fai vivere meglio gli altri”. Poi cita, a proposito del combattimento, Miyamoto Musashi “ quando sfoderi la spada è per uccidere” per dire che la gara dà una forte emozione, ma non è il combattimento reale dove regna il dualismo vita o morte. Dice: “nella gara posso concentrarmi sui miei avversari, so chi sono e come combattono; il combattimento vero invece, può essere mai o due volte di seguito”, ciò per evidenziare che il combattimento è imprevedibile e imponderabile nel suo accadimento. Cita anche la Bhagavadgita: “il guerriero è colui che si oppone al caos” per chiarire la definizione di guerriero più consona al comune senso della vita.

Non me ne vogliano gli allievi se parlo poco di loro, sono stati dei miti, per me di qualche anno più giovane, modelli che non ho raggiunto dal punto di vista della tecnica, dell’efficacia e della bravura, ma che mi hanno ispirato a dare quello che potevo senza risparmiarmi nello sforzo.

Enzo De Denaro dice: “il tempo e il caso colpiscono ogni uomo” (cfr Munich film di Spielberg) riferendosi al fatto che il loro incontro è stato anche un po’ casuale e che attraverso la voglia di allenarsi duramente insieme, avevano costruito un fortissimo legame di amicizia e la capacità di sognare insieme. Ritiene che l’appellativo di “scuola” viene dopo, qualcuno lo verifica ad esperienza conclusa.

Così la pensa anche Giancarlo Pizzinato aggiungendo che per lui Marino ha rappresentato lo spalancarsi delle porte di una piccola palestra di provincia verso una regione prima, poi una nazione e poi il mondo intero, con la conseguente crescita umana.

Walter Argentin invece richiama, giustamente, che tutti i discorsi fatti su cosa sia o cosa offra il judo, devono essere legati al concetto dell’ippon che deve essere inteso non come il risultato di un rotolamento, come purtroppo oggi spesso si vede, ma come il risultato di un movimento perfetto e assoluto che lascia stupiti gli spettatori ed ammirati gli avversari. Prescindendo da questo aspetto il judo perde parecchio del suo fascino e mistero.

Grazie a tutti di cuore per la serata, per quello che ci avete lasciato e per il piacere, in questo tempo di assenza dal judo, di rivedervi ancora una volta insieme!

A.




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